Non ho mai amato il termine “teatro sociale”, ho sempre evitato di applicarlo al mio lavoro anche quando rientrava nell’ambito che viene definito in questo modo.Il teatro è insitamente sociale; non esiste un teatro “asociale”, per capirsi, il teatro è sociale e politico per sua stessa origine e la funzione, o le funzioni, “sociali” del teatro sono imprescindibili da esso. Le mettiamo in azione, per negazione, anche quando ci impegniamo a fare un teatro del “disimpegno” o di “intrattentimento”.
Ci rifletto anche adesso.In questi mesi l’unico “teatro” che è stato possibile, quasi sempre, quasi in tutte le regioni, è stato un teatro che avesse l’etichetta “sociale”. Cioè un teatro che avesse come partecipanti degli individui il cui “bisogno” di teatro era “certificato”.
Scusate se metto tante virgolette; ma sono parole su cui vorrei posaste la vostra attenzione.
E’ stato consentito, o viene considerato più “essenziale” e da sempre viene finanziato per altre vie, un teatro i cui partecipanti, spettatori o attori, vengono “certificati” come “bisognosi” di teatro. E’ una situazione a cui siamo arrivati attraverso un processo di cui non mi interessa discutere adesso e qui e sul quale mi astengo da un giudizio, al momento, perché quello che mi interessa al momento è altro: il fatto che esista un teatro certificato come utile ed un teatro che questa certificazione non ce l’ha; un teatro la cui funzione sociale viene portata a vista da una definizione, ed un teatro la cui funzione sociale viene ignorata, nascosta, in alcuni momenti denigrata. Ossimori; all’italiana. Come il “riaprire i teatri” fatto coincidere con “facciamo spettacolo senza pubblico in sala”.
Tralasciando il fatto che moltissime patologie, (soprattutto riguardanti la mente), vivono ancora in Italia uno stigma sociale e sono vissute nel silenzio o nell’intimità della famiglia e dell’enturage amicale, e che spesso incontrano il teatro attraverso quello “non certificato come sociale”, tralasciando questo dico: siamo davvero convinti che il teatro non agisca sull’intera cittadinanza attraverso la sua funzione sociale?
Siamo sicuri che sia essenziale, anche in certi momenti storici, anche nell’inconsapevolezza degli spettatori, a tutta la cittadinanza senza che essa debba essere divisa in “malati e sani”? Insomma…è possibile che la funzione sociale del teatro si attivi esclusivamente quando essa ne diventa l’obbiettivo dichiarato?
Io sono convinto del contrario; cosiddetti “malati”, cosiddetti “non liberi”, cosiddetti “non autonomi” traggono dal teatro lo stesso identico bisogno di tutti gli altri e che, in una società malata la definizione di malattia e dei relativi bisogni e dei collegati supporti che il teatro e l’arte possono dare deve essere decostruita e ricostruita con maggiore conoscenza della realtà.
Il teatro nutre la società con modalità simili a quelle con cui agisce il lombrico; metabolizzando e fertilizzando.
I cosiddetti “malati” trarrebbero più giovamento dal vivere in una comunità interamente rimestata e bonificata dal lombrico “teatro”; ed i cosiddetti “sani” si avvicinerebbero all’esserlo realmente.
La funzione sociale del teatro ha più efficacia, forse “sola” efficacia, quando è rivolta a tutta la comunità (sociale, appunto).
Io mi ritengo un insano non certificato; ecco perché egoisticamente lotto per un teatro che venga reso possibile a tutti, anche adesso, adesso.